Il mercato dei jeans e i danni ambientali: come produrre un denim sostenibile?
Un paio di jeans? Sono 11mila litri d’acqua, grazie.
E questo basta per capire che la produzione di denim non è, ad oggi, sostenibile.
Guarda dentro il tuo armadio: quanti jeans vedi? Ora, considera che per ogni paio sono stati utilizzati tra i 7 e gli 11mila litri d’acqua, 11mila litri! Più di quanti ne servano per produrre un chilo di carne bovina. Una quantità impressionante, no? E quest’acqua potrebbe essere impiegata in modi migliori.
Ma come si fa a fare a meno dei jeans? Non si può. È per questo che anche noi stiamo cercando una soluzione per ridurre l’inquinamento e gli sprechi provocati dalla lavorazione del denim rendendo così sostenibile la sua produzione.
Jeans o Denim?
Innanzitutto un po’ di chiarezza: qual è la differenza tra jeans e denim?
Per chi non lo sapesse, il denim è il tessuto, una stoffa composta principalmente di cotone intrecciato in diagonale e per questo molto robusta. Spesso prevede anche una percentuale variabile di poliestere, nylon, lyocell o elastano. Nasce intorno al XV secolo in Francia e più precisamente nella città di Nîmes, da cui prende il nome: de-Nîmes, denim. È usato per realizzare giubbotti, camicie, gilet, scarpe, borse… e i nostri amati jeans, che sono invece un taglio di pantalone, un capo d’abbigliamento comparso nella seconda metà del 1500 a Genova e portato al successo planetario da Levi Strauss nel 1853.
Ora che abbiamo svelato questo arcano, occupiamoci del vero problema: come mai la lavorazione del denim è così dannosa per l’ambiente? Perché per produrre un paio di jeans si usano così tanti litri d’acqua?
Per rispondere a queste domande, dobbiamo porcene un’altra, fondamentale: come viene tinto il denim?
Indaco, leuco-indaco, indigofera: la colorazione dei jeans
Già, perché è vero che nel conteggio degli 11.000 litri per paio di jeans è considerata la coltivazione del cotone e l’intero trattamento del denim per arrivare al jeans, ma quello che provoca maggiore spreco d’acqua è proprio la celebre colorazione blu, che li accompagna fin dalle origini genovesi, da dove la tela blu partì, si espanse e prese piede proprio con il nome di blue jeans, da “blue de Genes”, blu di Genova.
Ma i jeans nascono blu? Certo che no, come abbiamo detto sono fatti di denim, che arriva dal cotone, e quindi sarebbero di base bianchi. Per farli diventare blu viene usata una molecola organica: l’indaco. Questa è naturalmente presente nelle piante del genere Indigofera ed è intuitivamente blu, ma in quanto pigmento non è solubile e non può essere quindi sciolta in acqua per procedere alla colorazione del tessuto. E quindi come si fa? Bisogna rendere l’indaco solubile, e lo si fa con dei prodotti chimici che trasformano l’indaco in leuco-indaco, un’altra molecola che è la versione solubile dell’indaco. E indovina di che colore è il leuco-indaco? No, non blu, ma giallo! E quindi non finisce qui: una volta ottenuta questa molecola, gialla e solubile, si può procedere al suo scioglimento, per il quale serve ovviamente un cosiddetto solvente, termine minaccioso che in questo caso altro non è che acqua. Il denim viene quindi immerso in una soluzione acquosa di leuco-indaco e sottoposto a più lavaggi, tanti a seconda di quanto scuro si vuole ottenere il tessuto, assumendo così la colorazione gialla. Grazie all’ossidazione all’aria, poi, il tessuto prende finalmente il colore blu perché l’aria permette al leuco-indaco di ossidarsi a indaco e di aderire perfettamente alla fibra, ed ecco che quindi si ottiene il classico denim blu, pronto per diventare blue jeans.
Blue jeans: il risvolto ambientale
Tutto questo procedimento comporta delle serie conseguenze per il pianeta: oltre alla coltivazione del cotone necessario per soddisfare il mercato del jeans, che di per sé esige enormi quantità d’acqua, altre migliaia di litri vengono impiegate per sottoporre il denim ai lavaggi, e l’acqua contaminata dai prodotti chimici viene scaricata nel sistema idrico inquinando fiumi, mari e falde acquifere. Per la coltura intensiva del cotone vengono inoltre utilizzati fertilizzanti e pesticidi.
Secondo una stima fatta da Luiken et al., la produzione globale dei jeans supera i 3,5 bilioni all’anno. Se per ogni paio di jeans il consumo d’acqua è pari a 11.000 litri, significa che per soddisfare la produzione complessiva di questo capo così popolare occorrono 38,5 trilioni di litri d’acqua, che equivalgono a più di 60mila volte il consumo idrico annuo di tutta la Cina!
Se si aggiunge che circa il 3% dell’acqua di irrigazione globale è usata per la coltivazione del cotone, non stupisce certo che l’industria tessile sia considerata responsabile del 20% dello spreco idrico totale.
L’acqua scaricata dopo i lavaggi, inoltre, contiene leuco-indaco sciolto (che col tempo si ossida a indaco) ma soprattutto indaco in sospensione (quindi non sciolto), che conferisce il colore blu ai fanghi di scarico, oltre a tracce dei prodotti chimici utilizzati per la trasformazione dell’indaco in leuco-indaco. Ciò causa uno squilibrio in diverse catene alimentari dell’ecosistema acquatico, oltre a compromettere la potabilità dell’acqua anche per noi esseri umani.
È quello che accade principalmente in Asia, primo produttore mondiale di denim con il 70% della produzione globale, ma ha ovviamente conseguenze devastanti per l’intero pianeta.
E allora perché continuare con questo sistema? Secondo noi non ha senso, ed è per questo che il nostro team di Ricerca e Sviluppo sta cercando una soluzione al problema.
Verso un denim sostenibile
Quello su cui stiamo lavorando è un processo di recupero della molecola dell’indaco dal denim attraverso un metodo sostenibile. L’obiettivo è quello di separare la fibra dal colorante cercando di avere il minimo consumo di solvente, acquoso o meno, in modo da poter riutilizzare sia il denim che il colorante stesso. Stiamo facendo dei test per trovare il modo giusto di farlo, un modo non solo efficace ma anche sostenibile dal punto di vista ambientale, energetico, sociale ed economico.
La sostenibilità non è qualcosa che si ottiene al volo, richiede un attento e approfondito studio e svariati tentativi, ma soprattutto cooperazione.
Per questo ci rivolgiamo anche a te, lettore, che tu sia un operatore di settore o semplicemente una persona interessata al tema, perché è importante che tu sia consapevole del processo e dei problemi, per aiutarci a mettere in atto una soluzione che vada a beneficio di tutti.
Se vuoi scoprire cosa puoi fare per sostenere la nostra ricerca per un denim sostenibile, quindi, non titubare: scrivici a info@nazena.com o chiamaci allo 04441792229!
Grazie
CONSULTAZIONI:
Recovery and recycling of denim waste
Luiken A, Bouwhuis G.
In: Denim: manufacture, finishing and applications. Woodhead Publications; 2015
Dyeing of denim yarns with non-indigo dyes
M. Sanchez
Archroma, Castellbisbal, Spain
Environmental impacts of denim
K. Amutha
Bharathiar University, Coimbatore, India
Water footprint of denim industry
H. Pal1, K.N. Chatterjee2, D. Sharma3
1BPS Mahila Vishwavidyalaya, Sonipat, Haryana, India; 2The Technological Institute of Textile & Sciences, Bhiwani, India; 3Amity University Haryana, Gurgaon, India