La Commissione Europea ha lavorato diligentemente per rivoluzionare l’impatto economico e ambientale del riciclo delle fibre tessili. I loro sforzi riguardano la creazione di solide basi per l’industria tessile europea, che comprenda produttori, consumatori e gestione dei rifiuti, con particolare attenzione alla trasformazione delle pratiche di gestione dei rifiuti e alla rivalutazione dei requisiti di importazione e produzione.
Un aspetto cruciale tra le numerose iniziative è l’implementazione di sistemi di etichettatura. Guardando indietro nel tempo, scopriamo che le pratiche di etichettatura affondano le loro radici nell’Inghilterra del 1200. Tuttavia, c’è voluto molto tempo prima che il mondo si unisse sotto un sistema di etichettatura standardizzato per il cibo, soprattutto per prodotti sensibili come la carne. Spesso l’umanità agisce in modo decisivo solo di fronte a disastri straordinari, come il famigerato caso della mucca pazza. Tali incidenti ci costringono a pretendere certezze sulla sicurezza del nostro cibo prima del consumo, per garantire il nostro benessere ed evitare potenziali danni.
Per quanto riguarda il settore tessile, la Commissione ritiene giustamente che bruciare i vestiti non sia la soluzione ottimale. Attualmente stiamo affrontando gli impatti del cambiamento climatico che colpisce tutti noi profondamente ed è essenziale migliorare la qualità dell’aria.
Già nel marzo 2022, la Commissione europea ha introdotto una strategia tessile sostenibile e circolare. L’obiettivo principale è incoraggiare i produttori a essere più trasparenti fornendo informazioni sui materiali utilizzati negli indumenti e affrontare il problema dell’inquinamento da plastica. È allarmante che circa l’8% delle microplastiche europee rilasciate negli oceani provenga da tessuti sintetici, con una stima globale del 16-35%.
Ogni anno, tra le 200.000 e le 500.000 tonnellate di microplastiche provenienti dai tessuti entrano nell’ambiente marino in tutto il mondo. La maggior parte di questo inquinamento si verifica durante i lavaggi iniziali dei tessuti sintetici e il fast fashion gioca un ruolo significativo a causa del suo utilizzo a breve termine e della sua natura di bassa qualità, che porta a una rapida usura.
Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, il consumo tessile in Europa è al quarto posto in termini di impatto ambientale, dietro a quello alimentare, abitativo e dei trasporti. Ciò sottolinea l’urgente necessità di affrontare l’impronta ambientale dell’industria tessile e attuare cambiamenti sostenibili.
La Commissione intende affrontare questo problema introducendo un nuovo sistema di etichettatura che obbligherà i produttori a offrire sul mercato fibre riciclabili, prive di sostanze pericolose e prodotti rispettosi dell’ambiente.
Il concetto di Impronta ambientale dei prodotti (PEF – Product Environmental Footprint) è stato inizialmente proposto dalla Commissione Europea nell’aprile 2013 come parte dell’iniziativa “Costruire il mercato unico dei prodotti verdi“. Collaborando con esperti del settore e aziende private, la CE ha sviluppato una metodologia per esprimere l’impatto ambientale di un prodotto in modo standardizzato, consentendo ai consumatori di prendere decisioni informate durante i loro acquisti.
Il PEF utilizza i dati della valutazione del ciclo di vita (LCA) per valutare l’impatto ambientale dei materiali.
Il prossimo sistema di etichettatura UE, che è ancora in fase di sviluppo, incorporerà numerosi requisiti aggiuntivi oltre a quelli già esistenti come quelli elencati di seguito:
• essere durevoli, facilmente leggibili, visibili, accessibili e fissati saldamente,
• dare un’indicazione sulla composizione fibrosa,
• utilizzare solo i nomi delle fibre tessili elencati nel Regolamento per la descrizione delle composizioni fibrose,
• indicare mediante la dicitura «Contiene parti non tessili di origine animale» l’eventuale presenza di parti non tessili di origine animale nei prodotti tessili,
• utilizzare la lingua madre dello Stato membro in cui i prodotti tessili vengono venduti.
L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) riconosce che le fibre naturali, come la lana o il cotone, hanno una durabilità superiore e hanno un impatto minore sull’ambiente sia durante l’uso che nel fine vita, rispetto alle fibre sintetiche. La lana ha qualità, come la resistenza agli odori e alle pieghe, che comportano meno lavaggi e un utilizzo più lungo. Ciò consente di risparmiare acqua, energia, detersivo e ha un aspetto più “nuovo” rispetto ad altri tipi di fibre.
Sulla base dei dati della Fondazione MacArthur, la Commissione Europea mira a stabilire un circolo virtuoso all’interno dell’industria tessile, trasformandola in un produttore di beni più sostenibile e rispettoso dell’ambiente. L’integrazione degli indicatori di circolarità dei materiali e degli indicatori del ciclo di vita, come l’impronta ambientale del prodotto (PEF), potrebbe offrire una soluzione promettente per affrontare le sfide affrontate oggi dal settore.
Questo approccio ha il potenziale per promuovere un futuro più sano e sostenibile per la produzione tessile.
Il rapporto finale dovrebbe essere pubblicato entro la fine dell’anno.
Vi terremo aggiornati!